Questa prima gioia fu subito affogata dalla riflessione: che trovandosi presso la città l’armata spagnuola assai più poderosa, giacchè costava di ventitrè navi di linea, e di diciassette galee, sarebbe stato di leggieri impedito il passaggio alla piccola flotta francese, la quale dovea necessariamente succumbere, se si azzardava ad un combattimento. I comandanti francesi erano persuasi, che non vi fosse altra maniera di soccorrere la città, che quella di tentare un’azione, nella quale, sebbene prevedessero che combattevano con forze assai disuguali, lusingavansi nondimeno che potessero, durante il conflitto, le navi da carico, che non erano a parte della battaglia, introdursi nel porto, ed arrecare agli affamati Messinesi il desiato soccorso. Persistendo adunque in questa intenzione il Valevoir, e profittando del vento, che si mostrava favorevole, spinse i suoi vascelli verso Messina, pronto sempre a battersi, s’era attaccato. Non fu però d’uopo di adoperare le armi. La flotta spagnuola restò spettatrice per un pezzo, e poi vilmente si ritirò in Calabria (1776); azione vituperosa, che fe sospettare, che vi fosse una qualche segreta intelligenza coi Francesi, per cui poi la corte di Madrid fe arrestare l’ammiraglio Melchiore la Cueva, e i principali uffiziali dell’armata, sottoponendoli al giudizio del consiglio di guerra.
Grandi furono gli applausi fatti alla gloriosa flotta francese, che fu ricevuta con tutti gli onori possibili, e vieppiù restarono lieti i Messinesi dall’udire le lettere del re Cristianissimo, che li assicurava della sua protezione.
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