Questi però in vece di eseguire il comando viceregio, andò a Messina per sfidare la flotta francese, e già ambe le squadre erano alle prese, se un violento scirocco non le separava, per cui dovette la flotta reale ritirarsi a Milazzo. Questa ritirata fu disapprovata dal vicerè, che ordinò a quell’ammiraglio che ritornasse a battersi col nemico. Ubbidì egli; ma una terribile tempesta sconquassò tutti i vascelli, che parte urtarono negli scogli di Scilla, e si fracellarono, e parte a stento giunsero rovinati a Palermo.
      Gl’infelici successi accaduti alle navi austriache così sotto il comando di Melchiorre la Cueva, che sotto quello del principe di Montesarchio, fecero conoscere al ministero [401] di Spagna, che la corona fosse all’orlo di perdere il regno di Sicilia, se si lasciavano i Francesi padroni del mare; e siccome le navi reali o perdute, o fracellate non potevano così di leggieri risarcirsi, fu creduto che fosse necessario, intanto che la monarchia fosse in grado di preparare una nuova squadra che fosse atta a snidare i Francesi dai mari di Sicilia, di ricorrere a qualche potenza amica, e forte per mare, col di cui soccorso potesse il re Carlo II ottener quello, che colle proprie forze non potea per allora conseguire. Era in quella età formidabile per armate navali la repubblica di Olanda. A questa si rivolse il re Cattolico, e da questa ottenne una squadra di diciotto navi di linea oltre altre dodici barche più piccole, la quale unita a pochi vascelli restati in Sicilia, e comandati dal principe di Montesarchio, e a 19 galee, che la Spagna vi aggiunse, potevano bene battere gl’imperiosi Francesi.