Prevedendo il vicerè i disegni del nemico, ordinò che tosto si fortificassero i castelli di Melilli, e di Siracusa, intimò a’ baroni il servizio militare, e per essere più vicino al nemico, abbandonando Milazzo, andossene coll’esercito, e con tutta la sua corte a fissare la sua dimora nella città di Catania, dove chiamò per il mese di ottobre tutti i baroni del regno, affine di assistere ad un consiglio di guerra, in cui dovesse risolversi ciò, che fosse di mestieri per attraversare i progressi dei Francesi (1796). Nè trascurò intanto di replicare pressantissime lettere al re Cattolico, richiedendo la [407] sospirata flotta, senza la quale era impossibile il mantenersi nel possesso del regno.
Non furono inopportune le provvidenze date da questo vicerè; i primi movimenti fatti dal Vivonne, appena arrivato in Agosta, furono contro Melilli, piccola terra da quivi non molto lontana, dove però eravi un fortino sopra una collina guardato da cencinquanta soldati spagnuoli, di cui fu facile l’impossessarsi, stante la piccola guarnigione, che vi era; la quale non ostante si rese a buoni patti ai 9 di ottobre, e solo i terrazzani ebbero la disgrazia di soffrire il saccheggio. Fatto questo piccolo acquisto, si rivolse verso Catania, e arrivò fino al fiume; ma udendo che l’esercito regio trovavasi già schierato nella pianura, e pronto a riceverlo, temendo di succumbervi o per inferiorità di forze, o perchè temea che gli potessero mancare i foraggi, ed i viveri in una campagna, di cui erano padroni gli Spagnuoli, voltò faccia, e ritornò in Agosta.
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