Per non restarsene colla meschina conquista di Melilli, trovando che Siracusa, Lentini, e Carlentini erano ossa troppo dure a rodersi, pensò d’insignorirsi di Taormina.
Questa città altre volte famosa per le sue ricchezze, per la sua nobiltà, e per la sua antichità, e dove oggi si ammirano tuttavia i segni della prisca sua magnificenza, non è distante da Messina, che intorno a trenta miglia, dalla quale città potea il Vivonne agevolmente esser provisto di viveri, e di soldatesche. Siccome era anche allora senza muraglie, e senza baluardi, non potea altrimenti difendersi, che impedendo ai nemici l’approccio dalla parte della marina. Vi comandava il conte di Prades Carlo Ventimiglia cavaliere palermitano. Questi trovandosi sprovisto di truppe, giacchè le poche compagnie di Tedeschi, che seco avea, erano state dal marchese di Castel Roderico chiamate a Catania, e temendo ciò, che poi avvenne, fe le sue proteste al ridetto vicerè, che non gli era possibile di difendersi, se mai il nemico si avvicinava; ma non fu udito, e il marchese, persuaso che le mire del Vivonne non erano indiritte, che contro Catania, ricusò di rendergli le antiche compagnie, o nuove truppe per difendere quella città. Intanto si verificò quanto avea preveduto il Ventimiglia. Sbarcarono quattro mila uomini a quella riva, e quantunque il conte, non avendo seco che pochi calabresi, e gli abitanti della terra, avesse fatto ogni opra per respingerli, bisognò nonostante cedere al numero, e vi restò prigioniero a’ 19 di ottobre.
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