Avea egli in mira Catania, e i luoghi intorno ad essa città (1818). I Mascalitani vedendo approssimarsi i Francesi, abbandonata la loro città, si ritirarono nel folto bosco sotto Mongibello, dimodochè i Francesi non trovando alcuno, che loro facesse resistenza, ivi si fermarono. Era già arrivato lo autunno, in cui l’aria di quella città per le acque malsane che scorrono, nel dileguarsi che fanno le nevi dell’Etna, è assai cattiva. Nello spazio di poche settimane tutto lo esercito de’ Francesi restò assalito da una mortale epidemia, che trasse alla tomba più di mille, e cinquecento di essi, e rese il resto dell’armata infermo, e inetto alle azioni militari; laonde il Vivonne amò meglio, perchè non perisse interamente, di richiamarla a Messina (1819).
Profittando il Bornaville delle circostanze, nelle quali era lo esercito francese, e della stagione del più rigido inverno, in cui certamente il Vivonne non potea sospettare, ch’egli potesse tentare alcuna impresa militare, pensò se potesse riprendere il castello della Mola sopra Taormina, ottenuto il quale gli sarebbe stato agevole di avere nelle mani la città. Non essendo bastanti le sole forze, si avvalse dell’astuzia, e per mezzo di Pietro Paulini milanese, che stava di presidio a Francavilla, ebbe modo di guadagnarsi un prete abitante alla Mola, e nemico de’ Francesi, che chiamavasi Antonino Tornatore, il quale avea animati quei terrazzani contro i medesimi. La notte precedente il dì 17 di dicembre spinse colà un corpo di 240 soldati, quaranta de’ quali da’ più valorosi furono tratti dal Tornatore, e da’ suoi compagni con funi sulla cima del colle, dove era collocato il castello.
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