Molti si avvalsero di questa permissione, e assai più ne sarebbono partiti, se la flotta fosse stata capace di riceverli; sicchè fu d’uopo agli altri di restare, o di cercare altra via di fuggire (1823). Fu luttuosissima questa partenza, che accadde ai 16 di marzo, non meno per coloro, che abbandonavano le patrie mura, i congionti, gli amici, e i proprî beni, che per quelli, che restavano, e non sapevano qual potesse essere il loro destino. Erano questi privi di capi, giacchè il senato, ed i primarî della nobiltà, e della cittadinanza se n’erano fuggiti, nè sapevano a qual partito si dovessero mai appigliare. Pur doveano prendere qualche risoluzione; giacchè il restare inoperosi era il peggiore di tutti i mali.
Due erano le vie, che poteano seguirsi; quella di persistere nella ribellione, o quella di abbandonarsi alla clemenza del monarca di Spagna. I più audaci erano d’avviso di chiudere le porte, e di difendersi, essendo la città abbondantemente provvista di vettovaglie, e di quanto abbisognava per la difesa, nè rendere la città se non previa una vantaggiosa capitolazione. Ma i più saggi, e prudenti opinarono, che la ostinazione, lungi dal poter indurre gli Spagnuoli ad accordare buoni patti, li avrebbe piuttosto aizzati; e perciò consigliarono, che il miglior partito era quello di subito arrendersi, e di rimetter la loro sorte alla benignità dell’offeso sovrano. Prevalse questo parere, e fu risoluto di chiamare gli Spagnuoli in città. Furono perciò spediti de’ cittadini, altri con saettìe alla vicina città di Reggio per invitarvi il governatore; ed altri per terra a Milazzo per offerire al duca di Bornaville il possesso della città (1824). Il primo ad arrivarvi fu il conte di Barnabò, che governava a Reggio, il quale racconsolò gl’intimoriti cittadini, facendo loro sperare dalla pietà di Carlo II, che avrebbe accordato il [414] perdono.
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