De’ sei, che si trovavano in questa carica, ne depose due, che bandì dalla città, e scelse in loro luogo due Spagnuoli. Confiscò inoltre le rendite della città, e regolò l’amministrazione, risecando tutte le inutili spese. Vietò che gli eletti si congregassero nel palagio senatorio, e volle che in appresso si radunassero nel regio palagio sotto la presidenza del governatore, privandoli dell’uso dell’ombrello, del banco senatorio, e della solenne toga. Tolse loro la giurisdizione, ch’esercitavano così in città, come nel distretto di essa; sottomettendo ogni cosa al regio demanio. Proibì il bussolo, con cui il popolo creava i suoi magistrati: riserbando a sè, e a’ suoi successori il diritto di eligerli. Inibì agli abitanti le armi, fissando un determinato luogo, dove dovessero tutti deporle. Restrinse il generale indulto accordato dal Gonzaga a’ soli beni, ch’erano in città: le sostanze de’ cittadini, ch’erano fuori Messina, furono aggiudicate al fisco, come furono anche incamerate quelle, che appartenevano a coloro, che trovavansi o fuggiti, o esiliati, coi quali fu proibito qualsisia commercio di lettere (1830).
Creò di poi un tribunale, che fu detto la regia giunta, composto da giureperiti da sè eletti per l’amministrazione de’ beni confiscati così della città, che de’ particolari. Per la custodia delle fortificazioni, ch’erano in potere de’ Messinesi, disegnò de’ soldati, che vi stessero di guarnigione. Questi doveano mantenersi dalla città; e perciò, oltre le antiche gabelle, ed oltre i proventi dei beni incamerati, impose un nuovo dazio, che fu d’allora detto il nuovo imposto.
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