Tutte queste imprese si fecero in così breve tempo, che parea impossibile che si potessero con tanta sollecitudine eseguire. Non era ancora scorso il mese di febbrajo 1679, che se ne vide il compimento: tanta era l’attività del vicerè, e de’ suoi ministri!
      Sullo spirare del detto mese il conte di Santo Stefano s’imbarcò, e andossene a Catania. Trovò ivi che la elezione de’ magistrati si facea a bussolo, in cui però votavano i soli nobili. Inerendo egli al sistema adottato in Messina, tolse anche questo privilegio a’ Catanesi, riserbando a sè, e a’ suoi successori la scelta de’ medesimi. Dello stesso diritto spogliò le città di Naro, di Caltagirone, di Agosta, e di Siracusa, nella quale ultima città volle ancora, che due dei senatori fossero dell’ordine de’ cittadini (1834). Siccome però avea soppressa in Messina la università degli studî, così procurò di restituire il primiero lustro a quella di Catania, che per la vicinanza di quella di Messina, e per i pingui salarî, che i Messinesi davano a’ loro professori, non conservava, che il puro nome di università; giacchè tutti prima correvano a studiare a Messina, sicuri di trovarvi i più eccellenti maestri dell’Europa. Con dispaccio adunque de’ 24 dello stesso febbrajo incorporò il vicerè agli studî di Catania tutti i privilegi, e le facoltà, delle quali godevano quelli di Messina, accordando privativamente a’ medesimi il privilegio di università de’ pubblici studî di Sicilia, e il diritto di potere accordare a’ suoi studenti la laurea dottorale: e ciò in ricompensa de’ servigî fatti da quei cittadini alla monarchìa di Spagna in ogni occasione, e particolarmente nella guerra sostenuta contro [417] i Messinesi.