Ricorsero questi al giudice della monarchia, il quale levò lo interdetto, del che aizzato il Palafox ne pubblicò un altro più formidabile del primo. Ecco dunque alle prese la corte arcivescovale con quella della monarchìa: fu ricorso al vicerè, che cercò sulle prime di persuadere l’arcivescovo colle buone a ritirare il secondo interdetto; ma trovatolo inflessibile, rimesse l’affare alla giunta dei presidenti, e consultore, col voto della quale a’ 22 di febbrajo esiliò in Termini Mr. Palafox.
Ubbidì l’arcivescovo suddetto, quantunque, come commissario generale, si credesse indipendente dall’autorità del vicerè, e andossene al luogo del suo esilio; e di là scrisse ad Innocenzo XI, ciò che gli era occorso. Il papa destinò la congregazione della immunità ecclesiastica per esaminare questo [418] affare, la quale decise a favore di Mr. Palafox, e dichiarò incorsi nella scomunica il vicerè, ed i ministri, che lo aveano consultato. Prevedea il conte di Santo Stefano, che la corte di Madrid non avrebbe punto approvata la condotta tenuta contro l’arcivescovo, ch’era in grandissima estimazione; e per rimediarvi alla meglio che si potesse, scrisse al medesimo invitandolo a ritornare alla sua cattedrale. Vi si restituì egli a’ 23 di giugno, dopo quattro mesi che n’era stato lontano; ma non comunicò punto nè col vicerè, nè co’ di lui ministri, che credea incorsi nella censura. Durò questa pendenza per lo spazio di tre anni, dopo i quali la corte di Madrid ordinò, che il vicerè privatamente, e i ministri pubblicamente fossero assoluti dallo arcivescovo.
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