Questo fulmine improviso, e inaspettato abbattè tutto il ceto legale. Fu di mestieri ubbidire. Il solo Joppolo, sotto il pretesto, ch’era ammalato, si scusò dal portarsi a Messina, e non ostanti i replicati ordini del vicerè sempre ricusò di andarvi. Il conte Santo Stefano, che non soffriva contradizioni, per obbligarvelo ordinò, che una compagnìa di soldati spagnuoli stasse di guardia alla Tonnara di Solanto, dove questo presidente si era ritirato, obbligandolo a pagare cento venticinque scudi al giorno per il mantenimento degli uffiziali, e delle soldatesche. Questo medicamento, che toccava sul vivo i di lui interessi, lo guarì immediatamente; perciò partì subito per Messina, dove non dimorò che pochi giorni, e fu di poi mandato a Cefalù (1841).
Si trattenne questo vicerè a Messina per tutta l’estate, ed entrando l’autunno, nel mese di settembre se ne ritornò a Palermo. Il principale obbietto di questo suo ritorno fu appunto quello di celebrare il generale parlamento, ch’erano già scorsi nove anni, che non si era più radunato, dopo l’ultimo tenutosi sotto il viceregnato del principe di Lignè a’ 4 di febbraio 1671. Le vertigini nate prima in Messina, e poi la ribellione di quei cittadini obbligarono i vicerè a far la guerra a quella contumace città, ed i baroni a [419] starsene al campo per il servizio militare. Non ostante però che si fossero per tal cagione sospese le adunanze parlamentarie, continuò il regno a pagare al regio erario i consueti donativi, come lo stesso conte di Santo Stefano rileva con riconoscenza nell’apertura del parlamento, che fu tenuto a’ 9 di dicembre di quest’anno 1680 (1842). La dimanda fatta dal vicerè a nome della corte riguardava non solo la continuazione de’ donativi ordinarî, ma inoltre un sussidio straordinario, così per risarcirsi il regio erario delle ingenti spese fatte per difendere il regno dalla invasione de’ Francesi, come per lo sponzalizio già fatto dal re Cattolico con Maria d’Orleans nipote di Ludovico XIV. Radunatisi gli ordini dello stato, di comune consentimento innovarono le solite ordinarie contribuzioni, e per riguardo alla straordinaria, che si richiedea, fecero l’offerta al sovrano di dugento mila scudi per impiegarsi nelle fortificazioni delle piazze del regno.
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