In una nota di morti mandata al vicerè, e al real patrimonio, che ci ha conservata il Mongitore (1901), si fa ascendere il numero di coloro, che perirono in dette valli in questa funesta occasione, a cinquanta nove mila, e settecento. Anche le vicine isole succumbettero allo stesso infortunio. In Malta durò questo flagello tre giorni, e rovesciò molti edifizî (1902), e in Lipari ancora apportarono disastri le due principali scosse de’ 9, e degli 11 di esso mese (1903).
A queste calamità mandate dal cielo vi si aggiunsero quelle, che apportarono gli uomini. Da’ vicini castelli accorrevano i malandrini, sotto il pretesto di porgere soccorso agli afflitti cittadini; e in vece di assisterli, saccheggiavano le loro case, e i tempî, e trasportavano ne’ loro paesi le cose sacre, e profane. Basta leggere il p. abate Amico, che descrive le scelleraggini fatte da costoro nella sola città di Catania (1904), per intendere le orribili azioni di costoro, che per altro non sono nuove negli annali della umanità. A queste angustie vi si aggiunse il più tormentoso dolore cagionato dalla fame; i grani stavano sepolti sotto le rovine; mancava l’acqua, con cui potessero i molini macinare; e i molinari, e fornai o non erano più, o erano così pochi, e malconci, che punto non bastavano ai bisogni de’ viventi; e se Malta (1905), Messina, e le altre città vicine (1906) non avessero tosto dati quei soccorsi, che più potevano, ad Agosta, e a Catania, sarebbono anche periti i pochi cittadini, ch’erano sopravissuti a questa disgrazia.
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