Rapportate al governo le loro lagnanze, il vicerè col voto del sacro consiglio, volendo riparare a questi abusi, e procurare la sussistenza di questo ceto, e gl’interessi del regno tutto, promulgò una prammatica, per cui severamente proibì ogni introduzione di nastri, e stoffe forastiere, di qualunque maniera, che fossero lavorate, o semplicemente, o con oro ed argento. E poichè i mercadanti ne aveano introdotta una gran quantità, per impedire ogni danno di costoro, prescrisse a’ medesimi il termine di sei mesi, ne’ quali potessero venderla liberamente: scorso il qual tempo, ordinò che i drappi, o fettuccie, che fossero restate invendute, si trasportassero fuori del regno (1924).
Continuando la nimistà fra la nostra corte, e quella di Francia si faceano scambievolmente delle rappresaglie: fra le quali può noverarsi la preda fatta di una barca francese ne’ mari di Milazzo agli 8 di aprile 1697. Era questa una tartana armata, che andava in corso contro i vascelli del re, e s’incontrò in due nostre barche, che portavano da Messina in Palermo i soldati, ch’erano mutati di presidio. Essendo queste superiori di forze le furono addosso, e dopo qualche combattimento ebbero la sorte d’impossessarsene (1925).
La falsificazione della moneta di rame, che faceasi impunemente in Messina, e di cui era già inondato il regno, mosse il vicerè a determinarsi di andare in quella città per cercare i mezzi da riparare a questo disordine; e siccome le nostre galee ritrovavansi [436] colla flotta spagnuola al servizio del re, scelse per questo viaggio due galee genovesi, che trovavansi in porto.
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