Non essendo per questo incidente andato il vicerè in Messina, vi spedì Giovanni Antonio Joppolo presidente del real patrimonio, e Baldassare Castiglia maestro razionale dello stesso tribunale, i quali furono incaricati di proibire la moneta falsa, di raccoglierla, e di fare il processo a’ falsificatori, e condannarli. Codesti ministri eseguirono i comandi viceregî, e nel mese di settembre mandarono nella capitale un vascello carico di tutta la moneta adulterata, che aveano potuto raccogliere. Arrivò il vascello a’ 9 di settembre; e a’ 5 del mese di ottobre seguente fu pubblicato in Palermo dallo stesso duca Veraguas un bando, con cui fu vietata anche nella capitale la suddetta moneta; e fu ordinato che dentro lo spazio di tre giorni si dovesse consegnare o alla regia zecca, o agli uffiziali di essa sparsi per la città, affine di ricambiarsi con quella di ottima qualità, ch’ebbero ordine i coniatori di tosto improntare (1928). È da osservarsi in questo luogo la grazia, che con questo bando fu accordata a’ Palermitani; cioè ch’eglino ricevessero in iscambio in buona moneta l’equivalente di quanto consegnavano, essendosi considerato che l’aveano ricevuta con buona fede, e non era giusto che senza colpa ne perdessero la metà, come la perdeano in forza del bando la città di Messina, ed altri luoghi del regno. Questo rimborso, che si fe ai Palermitani a spese del regio erario, non importò meno di cento mila scudi.
Il re Cristianissimo, quantunque le sue armi prosperassero in ogni luogo, per certi suoi politici fini cercava di pacificarsi colla Spagna, e di attirare a concordia i collegati della medesima.
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