Erano oramai scorsi intorno ad otto anni, che non si erano fatte le solite adunanze parlamentarie. Il duca di Veraguas ne intimò una per il mese di maggio di quest’anno, e a’ 12 di esso mese nel farsene l’apertura nel regio palagio di Palermo, lodando insieme lo zelo de’ Siciliani verso la corona di Spagna, e le premure, che si dava il re Cattolico per conservare il regno, richiese i soliti donativi ordinarî, e inoltre uno straordinario simile a quello, che se gli era offerto nello antecedente parlamento. Non potea egli addurre per motivo di questa dimanda nè la guerra col Turco, nè quella colla Francia. Il primo era tutto intento a respingere le armi vittoriose dell’augusto Leopoldo, e la seconda era cessata colla pace di Riswich. Per dare dunque polso alla sua proposizione, rappresentò le spese fatte dal regio erario nel rifare la moneta di rame, e nel ritirare quella ch’era stata falsificata; contando che si fossero perduti cento mila scudi nel cambio fattosi in Messina, e nel regno, oltre una uguale somma, che, come abbiam detto, si era spesa nel rimborso di quella ch’era in Palermo. Volentieri aderirono i parlamentarî, e accordarono così gli ordinarî, che lo straordinario richiesto donativo nella forma, che sta indicata negli atti (1931), senza preterirsi i soliti regali a S.E., al suo cameriere maggiore, e a’ regî uffiziali.
Celebrato il parlamento, dovette il duca di Veraguas andare a Messina, non si sa per qual cagione; e perciò a’ 28 di luglio s’imbarcò sopra due galee delle nostre, e sciolse le vele verso quella città. Dopo la di lui partenza arrivò la notizia, che la corte lo avesse confermato per altri tre anni nel viceregnato, che fu ricevuta dai Palermitani con eccessi di giubilo, e celebrata per tre continui giorni con illuminazioni, festini, commedie, carri di musici, che giravano per la città, e con pubblici rendimenti di grazie all’Altissimo.
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