Ma una cagione più interessante lo spinse a fare questa mossa. I Messinesi dopo di essere ritornati sotto il giogo degli Spagnuoli, vedendosi spogliati dal conte di Santo Stefano di tutto ciò, che rendea rispettabile la loro patria, come noi abbiamo avvertito nel libro antecedente (1954), nudrivano in cuore un segreto dispiacere contro quella nazione; ma sino che visse Carlo II, la di cui statua rammentava loro ogni momento ciò, che poteano aspettarsi, se tornavano a muoversi, soffrivano tacitamente la loro disgrazia. Entrato al possesso del regno Filippo duca d’Angiò, e nipote del re Cristianissimo, ricevettero con trasporto questo nuovo sovrano, e immaginarono di potere sotto un principe della casa Borbone, e diretto da Luigi XIV, [445] ch’eglino aveano acclamato una volta per loro monarca, spezzare le catene, colle quali erano stati avvinti da’ ministri spagnuoli, e ritornare nel primiero loro splendore. Stando in questa lusinga fecero arrivare così alla corte di Versaglies, che a quella di Madrid le loro istanze, colle quali dimandarono le seguenti cose; 1° che fossero loro restituiti i beni confiscati; 2° che fosse accordato l’uso delle armi; 3° che si confermassero tutti i privilegi, che anticamente godea la loro città; e 4° che fosse abbattuta la statua di Carlo II, ch’era un monumento perenne della loro fellonìa, e che dal bronzo di essa si rifabbricasse l’antica gran campana del duomo. Queste dimande, e precisamente l’ultima, ch’era la più temeraria, furono rigettate; nè eglino per allora poterono nulla ottenere (1955).
| |
Messinesi Spagnuoli Santo Stefano Carlo II Filippo Angiò Cristianissimo Borbone Luigi XIV Versaglies Madrid Carlo II
|