Non trascurarono gli ecclesiastici di procurare in ogni maniera, che il popolo si quietasse. Monsignor fra Giuseppe Gasch arcivescovo di Palermo, uomo veramente santo, ed esemplare, all’udire i primi movimenti de’ sollevati, andò di persona al forte del Vega, dove maggiore era il bisbiglio, e persuadendo, ed esortando cercò di tranquillarli. Fu ricevuto con quel rispetto, che si dovea ad un così venerando pastore, e gli furono aperte le porte, che stavano chiuse per qualunque altro; ma non ebbe il piacere di ottenere da loro quanto bramava. Il morbo era nello incremento il più vigoroso, ed era di mestieri di aspettare, che il tempo apportasse la desiata crisi. Ritornossene adunque questo buono arcivescovo crucciato che le sue insinuazioni fossero state inutili. Intanto la commossa plebe s’incontrò in Francesco Ferdinando Gravina principe di Palagonia, che dalla corte era stato destinato a succedere nel pretorato al duca di Cesarò; ed acclamandolo come padre della patria, l’obbligò a venire al palagio senatorio per prender possesso della carica di pretore.
Sovrastava già la notte, e si correa risico, che i malandrini profittassero del disordine, in cui ritrovavasi la città, e rubassero le case de’ cittadini. Mancava il pretore, che sen’era scappato, come si è detto, al palagio reale, e poi travestito da monaco, per quanto i vecchi ci hanno raccontato, si era ricoverato nel monistero di s. Martino delle Scale, lungi sette miglia da Palermo; e perciò i consolati non aveano un capo, che potesse destinarli alla difesa della città. Fu dunque spediente di affrettare il possesso del principe di Palagonia, e il vicerè vi acconsentì. Vi venne egli ben tre volte, ma inutilmente; era così folto il popolo, che non vi era modo di entrare nella casa senatoria.
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