Allontanato il maggior numero degl’Irlandesi, i consoli per addimostrare che costoro erano stati la unica cagione del tumulto, si applicarono seriamente, animati dal vigilantissimo pretore, a ridurre in quiete la città, e a liberarla dai ladronecci. Furono fatte diligenti ricerche sopra le robe furate, e furono restituite ai rispettivi padroni. La notte giravano le ronde, per impedire ogn’insulto del temerario popolo, e si posero le guardie alle porte. Parea nei giorni 30, e 31 di maggio che si fossero sopiti i moti popolari, e che la città fosse vicina a ridursi all’antica tranquillità. Pur nondimeno e la plebe, e gli artisti stavano incerti, se il vicerè, e la nobiltà, che si erano cotanto cooperati per la quiete, agissero di buona fede. La frequenza dei nobili nel regio palagio, e il sapersi dai consoli, che fosse tuttavia restato in città un buon numero di soldati irlandesi, che stavano appiattati nel ridetto palagio, e il vedere, che alcune delle barche, sulle quali si erano imbarcati, si trattenevano ancora al Molo, e quelle che n’erano partite, erano a vista della capitale, dava loro ombra, e temeano che occultamente non si pensasse di attaccarli alla spensierata. Accrescea la loro sospicione una frottola sparsasi per la città, cioè che i baroni avessero chiamati dalle proprie terre i loro vassalli, coi quali armati, e cogl’Irlandesi, così quelli che erano restati in Palermo, come quelli che erano partiti, ma non si allontanavano, potesse il vicerè trar vendetta dagli artisti, e dalla plebe.
| |
Irlandesi Molo Irlandesi Palermo
|