Seppe adunque il detto vicerè dai suoi delatori, che dopo la perdita della Sardegna venuto era in Palermo travestito il figliuolo del conte nominato di S. Antonio, e che il Guerrieri lo avea tenuto occultato in una sua possessione, che avea in campagna.
Tanto fu bastevole, attesi gli antecedenti sospetti, per determinare il vicerè a far carcerare il Guerrieri. Ciò fatto spedì della gente alla casina di campagna del detto giudice per assicurarsi del nascosto Sardo figliuolo del conte. Fatte le diligenze si venne in chiaro, che la relazione data non era esatta, e che non già il figliuolo del conte si era ivi ascoso, ma un altro figliuolo dell’alfiere Giacinto Chesa spagnuolo. Questi fu trovato per strada, che si avviava verso Trapani, e imprigionato si seppe chi fosse, e a quale oggetto fosse egli venuto da Sardegna, e che avea avuti degli abboccamenti spesse volte col Guerrieri, dietro a’ quali andavasene in Trapani, per imbarcarsi per la Sardegna. Formandosi il processo a questo giudice, sulle prime negò egli di avere avuti dei ragionamenti col figlio del Chesa; ma ne fu egualmente convinto con autentiche testimonianze. Si provò inoltre, ch’egli co’ suoi discorsi avesse più volte tentato di sedurre i consoli, e di persuaderli a sollevarsi: sulle quali prove fu condannato alla morte, e il dì 17 di ottobre gli fu mozzato il capo nel Castellammare, e fu il di lui cadavere appeso ad un palo nella piazza Vigliena con un cartello, in cui stava scritto: D. Antonio Guerrieri traditore di Sua Maestà, e della Patria (2033).
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