Mentre trattavasi in Utrech il grande affare della pace, poco mancò in Palermo, che non si rinnovasse il tumulto dell’anno 1708. Dava qualche sospetto di sè un pittore messinese chiamato Antonio Gianguzzo, di cui fu ordinata dal governo la cattura ad un commissario. Questi agli 8 di luglio, avendolo incontrato presso la chiesa di Portosalvo, ordinò a’ suoi sgherri, che lo carcerassero. Fe il Gianguzzo molta resistenza; ma sopravenuti altri birri fu preso, e condotto alle regie carceri della vicaria. Nell’atto, che stava entrando alla soglia di questo edificio, sopraggiunsero in soccorso di lui due suoi figliuoli, e Carlo Agosta suo suocero, a’ quali era unita altra gente. Uno di costoro sparò una carabina, e ferì un birro. Accorse al rumore l’avvocato fiscale della corte pretoriana Antonino Vetrano, e con esso il consolato de’ tintori chiamato in soccorso dallo stesso avvocato fiscale, mentre ritornava dalla guardia di un baluardo. I tintori circondarono i delinquenti, affinchè il reo [469] non scappasse, come riuscì loro, avendo i ministri della giustizia spinto dentro le carceri il reo pittore. Il Vetrano, acciò non nascesse un nuovo bisbiglio, disse al custode delle carceri serra, volendo ordinargli che tantosto chiudesse la porta. Questa voce fu replicata da altri, e fu portata dagl’inconsiderati per la città, per le cui strade, passando di bocca in bocca la parola, udivasi da tutti gridare: serra serra. I cittadini credendo un nuovo tumulto in città, serrarono le loro case, e botteghe, e presero le armi.
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