Solo diremo, che non fu mai veduta in Palermo una pompa così magnifica, come questa. Si accennò nel libro antecedente (2065) la solenne entrata dell’augusto Carlo V dopo l’impresa di Tunisi; ma quella di Vittorio Amedeo fu di gran lunga superiore. O che i popoli fossero allo estremo giulivi nel vedere fra le proprie mura i loro sovrani non di passaggio, ma con animo di permanervi, o che il lusso dopo due secoli fosse cresciuto, egli è certo, che la città di Palermo non fu mai così lieta, nè comparve così ricca, come in questa contingenza. Le strade tutte si videro nobilmente adornate: i palagi, e le case religiose erano vestite di preziosi drappi di arazzi, e di tapezzerie. Sopra gli altri furono ammirate le abitazioni del senato, dell’arcivescovo, del seminario dei chierici, e del collegio dei pp. Gesuiti, in cui si osservarono delle iscrizioni, e degli emblemi allusivi alla esaltazione di questo monarca. Cinque superbi archi trionfali furono inalzati nella spaziosa strada del Cassero, due dei quali furono eretti dal senato, l’uno alla Porta Felice, e l’altro alla piazza Vigliena; gli altri tre furono fatti a spese delle tre nazioni che abitavano in Palermo, cioè de’ Napolitani, dei Genovesi e dei Milanesi. Gli abiti della nobiltà, gli arnesi dei loro cavalli, le livree dei servidori, e quanto si osservava nella solenne cavalcata, tutto spirava sontuosità, e magnificenza; nè lasciarono gli altri cittadini di vestirsi alla meglio, che poterono. La sera comparve la città illuminata con numerosi torchi di cera, ed altri lumi, e nella piazza del regio palagio fu eseguito un sorprendente artifizio da fuoco alto centoventi palmi allusivo al re, e alla Sicilia.
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