Questa bolla non si divulgò in quella città, che dopo l’arrivo nel regno del re Vittorio, cioè a’ 10 di novembre, ed apportò ai Catanesi uno estremo scompiglio. Il nuovo monarca, che ne fu subito avvisato, spedì in quella città l’abate Barbara, che abbiamo mentovato, come eletto alla chiesa vescovale di Patti, e l’avvocato fiscale Perlongo, ai quali riuscì colle buone, e senza adoprar la forza, di rendere quei cittadini ubbidienti alla volontà del sovrano.
      Presso a questo tempo giunsero a Mr. Gasch arcivescovo di Palermo due monitorî, che non si seppe mai cosa contenessero. Questo prelato li presentò al marchese di Balbases, il quale si scusò dall’aprirli per la ragione, che essendo venuto il re, era cessata la sua carica. Fallito questo primo colpo, comparvero a’ 13 di ottobre due altri monitorî dell’uditore della camera. L’uno era diretto a coloro, che aveano recato l’ordine dello sfratto all’arcivescovo di Messina, e al vescovo di Girgenti. Era l’altro indiritto a Mr. Francesco Miranda giudice della [481] monarchia a cagione dell’ordine, che ei avea dato al decano Buglio suo delegato, di portarsi a Catania, e di dichiarare nulli l’interdetto, e le censure fulminate da quel prelato prima di partire per lo esilio.
      Non restò contenta la corte di Roma dei suddetti quattro monitorî spediti nel mese di ottobre; raddoppiò gli assalti nel seguente novembre. Il segretario della congregazione della immunità ecclesiastica chiamò alla sua presenza tutti i procuratori degli ordini regolari, e comandò loro a nome del papa, che intimassero la sospensione a divinis, e la privazione de’ gradi, che godevano nella loro religione, a tutti i monaci, frati, e chierici regolari, se non osservavano l’interdetto.