Desideravano nondimeno, che il re stesso aprisse loro una porta, per potere la santa sede uscire con onore dall’impegno, in cui era entrata. In questo stato di cose facea egli riflettere a S.M. che due erano le principali pretensioni del papa; cioè l’osservanza dell’interdetto, e il ritorno de’ vescovi esiliati. Suggeriva perciò, che si trovasse qualche temperamento per questi due capi, accordati i quali, sarebbe stato agevole il mettere in cammino le proposizioni, per conciliarsi le due corti. Agl’impulsi del cardinale ministro di Francia vi si aggiunsero quelli ancora di Mr. Migliaccio arcivescovo di Messina, il quale nonostante che trovavasi esule, mostrossi sempre in Roma zelante del servigio del suo sovrano, e del bene dei suoi diocesani; e per questa saggia condotta avea già ottenuto il permesso di ritornare alla sua diocesi.
Pieghevole il re a tutto ciò, che salvo il suo onore potesse contribuire alla quiete, e alla tranquillità, lasciò in libertà il cardinal de la Tremoille di proporre quegli espedienti ragionevoli, che avrebbe creduti conducenti al desiato fine. Questo porporato in forza della libertà accordatagli da Vittorio Amedeo fe arrivare a’ 3 di maggio dello stesso anno una memoria al cardinale Annibale Albani nipote del papa, con cui restavano saldi l’onore della santa sede, e i diritti de’ serenissimi re di Sicilia. Progettava in essa la rivocazione reciproca di tutti gli atti fatti, così quelli del giudice della regia monarchia contro i vescovi di Catania, e di Girgenti, e contro i vicarî di questo prelato, come quelli, che [483] i mentovati vescovi, e la corte di Roma promulgati aveano contro il tribunale della regia monarchia; con che dovesse precedere la rivocazione per parte del re, e poi seguire quella per parte del papa.
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