Tolti tali ostacoli, si compromettea questo cardinale di far richiamare gli esiliati, e di fare sprigionare coloro, che stavano per questa cagione nelle carceri. Liberati costoro, dimandava, che S.S. accordasse al re di Sicilia la bolla della crociata, e che non più si parlasse della monarchia di Sicilia. Così il papa sarebbe uscito con decoro dallo impegno, in cui era entrato: senza dare alcuno titolo ai re di Sicilia, in virtù del quale potesse allegare una nuova approvazione della santa sede per il tribunale della monarchia di Sicilia; e così i sovrani di questo regno restavano nel possesso, in cui erano sempre stati.
La suddetta memoria non produsse altro effetto, se non quello di persuadere il papa a formare una congregazione straordinaria di cardinali, per udire da loro, s’era espediente di abbandonare il progetto dello annichilamento della siciliana monarchia. Avesse almeno Clemente XI ascoltati i saggi consigli de’ suoi confratelli, i quali radunatisi sulla fine di maggio opinarono, che dovea il papa dimettere la pretensione di atterrare quel tribunale, e cercare solamente, che si risecassero gli abusi, che vi si erano introdotti. Nondimeno il pontefice, che non avea congregati quei cardinali, se non affine di trovare un’appoggio alla di già da sè fissata risoluzione, malgrado il loro contrario avviso, si ostinò a proseguire la intrapresa abolizione. Il cardinale Albani, andava dolcemente differendo di dare la finale risposta al ministro di Francia, il quale era anche sollecitato dal re Cristianissimo a terminare questo affare.
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