Dicea egli al cardinal de la Tremoille, che bisognava del tempo, per guadagnare l’animo dello zio, e ch’ei sperava a poco a poco di farlo piegare al parere della congregazione. Le stesse corte, e lusinghiere risposte dava il cardinal Paulucci ogni volta che il Tremoille gliene parlava. Di tutto ciò che si era operato in Roma diè conto questo porporato al re con lettera de’ 28 luglio.
Dal contesto però dell’accennata lettera ben si conosce, che questo cardinale mediatore avea perdute le speranze di poter nulla ottenere dalla corte di Roma. Dichiara egli, che vedendo smarrita la strada alla pace, avea dimandato al cardinale Albani, che segli restituisse la sua memoria; e che avea protestato, che non si credea più tenuto ad eseguire a nome del re, quanto in essa promesso avea. Conchiude poi la lettera, ritirandosi dalla mediazione che intrapresa avea, e mostrandosi dispiaciuto di non avere potuto servire sua maestà, come avrebbe bramato.
Quantunque questo porporato avesse renunziato ad ogni pratica per la pace fra le due corti, considerando nondimeno, che durando le cose così, vi andava dell’onore della s. sede, pieno di zelo per la riputazione del papa, ed affidato all’amicizia del re Vittorio Amedeo, prese un altro espediente; e propose a’ vescovi esiliati di ritornare alle loro diocesi: assicurandoli che li avrebbe accompagnati con lettere così efficaci, che non sarebbe loro accaduto verun sinistro, e sarebbono stati dal re accolti con clemenza. Mr. Reggio vescovo di Catania, a cui fu prima fatta questa proposizione, mostrò di bramare ardentemente il ritorno alla sua greggia, e disse, che non dubitava punto, che un pari desiderio avesse il vescovo di Girgenti suo collega.
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