Sentì con questo real comando ferita la sua autorità il ridetto pontefice, e perciò nel mentovato breve chiama temerario lo attentato dei ministri siciliani: execrabili nimis ausu conatos fuisse (dice egli) Advocatum Fiscalem judiciorum Apostolicae Sedis Judicem costituere, et uno eodemque tempore sublimem illam potestatem ligandi, et solvendi nobis, ac Romano Pontifici pro tempore existenti a Domino traditam, quae non ancilla est, sed libera, secularis potestatis arbitrio subjicere, et mancipare. Non è possibile di tener dietro a tutto ciò, che fe allora la corte di Roma, e di rapportare una per una tutte le scomuniche, che piovevano dal campidoglio sopra la misera Sicilia; ci basta di avere accennati i principali rescritti arrivati in questa occasione.
Tante carte, che malgrado il bando promulgato dal re Vittorio, e poi rinnovato ai 7 dell’antecedente dicembre comparivano alla giornata in Sicilia, obbligarono i ministri a replicarlo per la terza volta ai 18 di gennaio, e di aggiungervi che chiunque sapesse, o conoscesse persona, che portasse lettere, brevi, o altre simili carte da Roma, o che fosse solita di affiggerle, e non la rivelasse al governo, s’intendea incorso nelle stesse pene minacciate nello editto (2089). Nonostanti queste precauzioni della giunta, le bolle, ed i rescritti di Roma arrivavano nel regno, e si vedeano affissi nei luoghi pubblici. Questa moltiplicità di carte, e di scomuniche apportò negli ecclesiastici, e nei secolari quello scompiglio, che abbiamo additato, e si vedevano le chiese diserte, e i cori dei capitoli, e delle collegiate abbandonati; fuggendo ognuno la compagnia dei creduti scomunicati.
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