Cercarono i ministri sulle prime d’indurre colle buone queste anime timide a presentarsi al coro, a frequentare le chiese, e ad intervenire alle processioni, nonostante che vi fossero coloro, ch’erano stati scomunicati da Roma; ma non riuscì loro di persuaderli. Laonde acciò questa gangrena non si dilatasse maggiormente, adoprarono il ferro, dove erano vane le persuasive: esiliando i renitenti con un rigore che non era confacente alle mire pacifiche del re Vittorio Amedeo, che volea trattati dolcemente i suoi vassalli: nulla giovando, come abbiamo avvertito, le insinuazioni del conte Maffei per impedire cotanto eccessiva severità (2090).
Ferivano il cuore di quello amabile monarca le notizie, che arrivavano da Sicilia, le quali recavano la universale rivoluzione nata in tutti gli ordini dopo la sua partenza. Pieno perciò di sentimenti pacifici, pensò di mandare in Roma il giudice della gran corte Antonino Virgilio, giureconsulto espertissimo nella cognizione dei veri diritti della [488] corona, per cercare, se vi fosse modo di placare lo sdegno dello inesorabil papa, e sotto i 12 di gennaio scrisse una graziosa lettera, per cui lo incaricava di questa commissione. Invitò nel seguente mese con lettera data nel dì 16, Mr. Gasch arcivescovo di Palermo alla sua corte, acciò gli servisse di guida nello scabroso affare, che teneva agitata la Sicilia. Pensava forse egli di darlo compagno al Virgilio, affine di cooperarsi in Roma a metter fine a questa contesa.
Mentre il re tenea l’animo intento in Savoja ad estinguere lo incendio nato per conto del tribunale della monarchia, il conte Maffei in Sicilia, che non potea da sè apportare verun riparo alle calamità suddette, stava intento a prosperare il regno in tutto il resto, che dipendea dalla sua efficacia.
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