Non fu così numerosa la famigerata proscrizione di Silla, come la nostra, in cui per tutto il tempo del governo dei Savojardi fu fatta una crudele guerra agli ecclesiastici secolari, e regolari, ed ai laici ancora, e talvolta per fini privati anche a coloro che non erano punto delinquenti. Non possono leggersi senza orrore, rincrescimento, e compassione gli annali di questi tempi. Non passò giorno fino a tutto il mese di settembre dell’anno 1718, in cui i ministri suddetti colla scure alla mano non cercassero di abbattere il partito pontifizio, ora carcerando, ora confinando, ora esiliando, ora confiscando i beni, ora usando altre violenze contro di coloro, che non ubbidivano al bando o per scrupolo, o per frenesia. Non partiva barca di Sicilia, che non avesse a bordo molti di questi sventurati. Il rigore era così estremo, che il marchese Adorno general delle armi tenne sempre le soldatesche pronte ad ogni evento, aspettandosi di momento in momento qualche popolare sollevazione. Dichiarò egli al vicerè, che la maniera di procedere dei ministri niente conferiva al servigio del sovrano, e protestò, che in caso di qualche tumulto egli non avrebbe esposte le truppe affidategli dal re ad essere scannate dal furore della plebe.
Il conte Maffei, ch’era persuaso di questa verità, ma non avea diritto d’impedire la carnificina, altro non potè fare, che accompagnare con sue lettere quelle che il detto generale scrisse su di questo proposito al re Vittorio in Torino. Vi si unì ancora il presidente della gran corte, che disapprovava altamente la condotta dei suoi giudici.
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