Ingallozzitosi lo Alberoni del prospero successo della sua prima impresa, ed animatosi a farne dello altre, accrescea le forze della monarchia; ordinando in Sardegna, che si arrollassero nuove truppe, si preparassero munizioni, ed artiglierie, e si ammanissero navi da trasporto. Erano incerte le potenze di Europa, alle quali non erano ignoti questi apparecchi, dove mai dovesse scoppiare questo nuovo turbine. I politici si aguzzavano il cervello per indovinarlo, e chi volea, che si pensasse a conquistare lo stato di Milano; altri, che si tentasse l’acquisto del regno di Napoli, e chi, che Filippo volea impadronirsi de’ porti di Toscana, ch’erano in potere dell’augusto Carlo VI. Niuno però fra di loro sospettò giammai, che si tentasse d’invadere la Sicilia. Vittorio Amedeo, che se ne trovava il signore, era suocero del re Cattolico, e conservava una grande amistà con quel monarca; ed era noto, che fra questi due principi vi fossero de’ segreti maneggi per togliere lo stato di Milano dalle mani di Cesare; a quale oggetto il re Vittorio avea fatto venire dalla Sicilia un gran convoglio di truppe, e di munizioni da guerra, ed avea fatti sfilare molti soldati a’ confini del Milanese. E quantunque costasse il desiderio, che avea Filippo V, di ricuperare la Sicilia, si giudicava ciò non ostante, che si fosse convenuto fra questi sovrani, che acquistato Milano, Vittorio ne sarebbe rimasto il padrone, [493] e che questi in contracambio avrebbe restituita al suo genero la nostra isola. N’era lo stesso Vittorio così convinto, che scrivendo al conte Maffei nostro vicerè gli ordinò, che arrivando ne’ nostri mari l’armata spagnuola, la ricevesse come amica, e le procurasse tutti i rinfreschi, de’ quali avesse avuto di bisogno.
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