Allo apparire nel primo di luglio dell’armata spagnuola, i ministri della giunta eretta da Vittorio Amedeo per le vertenze colla corte di Roma, si erano ristati da quel furore, con cui aveano crudelmente perseguitati coloro, che aderivano a Roma. Erano [497] eglino incerti de’ sentimenti della corte di Spagna, e se continuava il loro potere; laonde si astennero da ogni ulteriore indagine. Non s’ingannarono punto ne’ loro sospetti; il marchese di Lede impossessatosi a nome del re della città di Palermo, prima di partire per Messina, come or ora diremo, abolì la loro giunta cotanto odiata da’ nazionali; ed elesse tre ministri, che restarono incaricati delle materie di stato, a’ quali accordò una autorità assai minore di quella, che i primi aveano ottenuta (2116). Questa risoluzione prudentissima assicurò gli animi de’ Siciliani, che trepidavano a vista di quel terribile tribunale, e li rese affezionati al re Cattolico. Non mancarono allora de’ disapprovatori di quanto il marchese di Lede avea stabilito; i quali spargevano che il gabinetto di Madrid pensava di accordare per i suoi fini politici al papa l’abolizione del tribunale della monarchia; ma il tempo mostrò che questa provvidenza fu appunto data per tranquillare l’intimorito popolo.
Stava allora in Roma l’arcivescovo di Palermo Mr. Giuseppe Gasch, il quale, mentre portavasi a Torino l’anno 1716, dove, come si è detto al capo antecedente, era stato chiamato dal re Vittorio, fu impedito dallo andarvi dal nunzio pontifizio, che risedeva in Firenze, il quale palesandogli il grave disgusto del papa per questa gita alla corte, lo consigliò a portarsi alla santa sede, per discolparsi presso S.S. Era Clemente XI irritato contro questo prelato, perchè chiamato dal re non avea, prima di partire, sottoposta la sua diocesi allo interdetto, come fatto aveano i vescovi di Lipari, di Catania, e di Girgenti.
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