Profittò il vicerè di questa proferta, e partì al dì 10 di giugno. Siccome egli contava di trattenersi molto tempo in quella città, così condusse seco molti ministri, perchè co’ loro consigli lo assistessero nel maneggio degli affari, ed oltre al consultore, che sta sempre a’ fianchi de’ governanti, menò seco il presidente del concistoro, il giudice della monarchia, un maestro razionale del patrimonio, e uno de’ giudici della gran corte. Fu il di lui viaggio felice, e ai 4 dello stesso mese arrivò prosperamente (2201). Fu egli fortunato nella risoluzione presa di allontanarsi da Palermo, giacchè così si sottrasse al disastro, che in capo a tre mesi afflisse la nostra capitale, come fra poco diremo.
Tribolava intanto la Sicilia un capo bandito cherico della terra delle Grotte nella diocesi di Girgenti, che chiamavasi Raimondo Sferlazza. Costui alla testa di trenta facinorosi tenea la campagna poco sicura, giacchè spogliava i viandanti; e sopra tutto era intento ad imprigionare le persone ricche, che non mettea in libertà, se non previo il pagamento di grossa somma. Volendo il marchese di Almenara liberare il regno da questa perniciosa compagnia di ladri, mandò da Messina la patente di vicario generale al principe della Cattolica, incaricandolo di purgare le campagne da questa genìa. Questo magnate, sortendo da Palermo con un numeroso seguito di gente armata, tratta la maggior parte dalle sue terre, andò in cerca di costoro, ed ebbe la sorte di avere nelle mani il loro capo Sferlazza, che in un fatto di armi fu ferito dagli uomini del principe, e preso.
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