Vedendosi egli deluso dalle sue speranze, e tradito nelle promesse fattegli dal vicerè, mandò la renunzia al medesimo, e scrisse a Vienna, legittimando la sua condotta, e dolendosi che lo Almenara gli avesse mancato di parola. Questi, vedendosi ricusare dal Morso la carica di pretore, s’irritò, quantunque a torto, contro il medesimo, ed in risposta gli ordinò, che si presentasse tosto carcerato nella Colombara di Trapani. Lieto ubbidì a questo comando, che gli facea tanto onore, il principe di Poggioreale, ed a’ 14 di giugno partì da Palermo per il suo destino, applaudito da tutta la città, che ammirava la di lui costanza. La corte di Vienna conoscea il torto, che si avea il vicerè; ma la politica di stato non permettea ch’ei vi restasse interamente di sotto. Laonde per salvare, come suol dirsi, capra, e cavoli, prese il temperamento di ordinare, che il Morso fosse richiamato dallo esilio, e rimesso nel possesso della pretura con quelli stessi senatori, che l’Almenara avea eletti; con dichiarazione, che questa era la volontà di S.M.C., e solo fu permesso a questo pretore, che potesse scegliere, come è costume, il suo senatore. Ritornò adunque il principe di Poggioreale dallo esilio, e a’ 12 di novembre col senatore, ch’ei avea eletto, prese possesso in senato. Così terminò questa briga, in cui ebbe luogo più la politica, che la giustizia (2206).
Avendo a cuore l’augusto Carlo VI il vantaggio nel commercio de’ suoi sudditi, dopo di avere nell’anno antecedente procurata la pace con Tunisi, e con Tripoli, cercò di ottenerla ancora, per mezzo dello stesso gran signore, cogli Algerini, che sono i più potenti, e dannosi corsari, che infestano i nostri mari.
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