Ottennero i parlamentarî nello stesso tempo dal vicerè la facoltà di scegliere uno ambasciadore, il quale si portasse a Vienna per sollecitare presso il regio imperial trono la concessione di quanto si dimandava (2210). Ci è ignoto chi fosse stato [525] eletto a questa carica, e se questi abbia ottenuta dallo augusto imperadore alcuna delle grazie ricercate. Siccome neppur sappiamo, se i Messinesi dopo questo parlamento, o prima abbiano ricevuto il privilegio, che il loro porto fosse in avvenire franco, di cui restarono allora oltre modo contenti (2211), sebbene non ne abbiano poi tratto quel profitto, che ne speravano.
Compiutosi dal marchese di Almenara il secondo triennio nel governo di Sicilia, gli fu dato un successore: ed egli fu destinato interinamente al governo del regno di Napoli, sino che ivi fosse arrivato il nuovo vicerè. Partì egli a’ 28 di luglio, e s’imbarcò sopra due galee venutegli da Napoli, accompagnato a bordo dal senato, dal principe di Butera, e da altri ministri, e cavalieri.
Non restarono i Siciliani molto dispiaciuti della partenza del marchese suddetto. Sebbene egli fosse stato un cavaliere pio, e protettore delle scienze, e sul principio del suo viceregnato si fosse mostrato attento ai doveri della sua carica, nondimeno dopo qualche tempo, e precisamente da che se n’era andato a Messina, avea cambiata la maniera di governare, e perciò era divenuto un uomo inetto all’amministrazione del regno. Tostochè chi comanda abbandona le redini del suo dominio nelle mani de’ subalterni, e si lascia ciecamente condurre da’ medesimi, senza prender da sè la menoma risoluzione, egli è duopo, che gli affari vadano malamente, e a misura delle voglie di coloro che diriggono lo animo del governante.
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