Stiedero dubbiosi i deputati, se dovessero ubbidire, o fare una nuova rappresentanza; il pretore, ch’è il capo di questo magistrato, prima di determinarsi, amò meglio di pregare lo avvocato fiscale della G. C., Francesco Gastone, acciò facesse presente a S.E. che i deputati non erano in grado di ubbidirgli, e per [535] coscienza e per alti rilevanti motivi. Riuscì a questo ministro di persuadere il vicerè, e d’indurlo a scrivere alla deputazione un viglietto, con cui la liberava dall’obbligo di fare il ridetto pagamento (2254). Acciò non più ritorni il discorso di questa franchigia, soggiungiamo, che il vicerè trovandosi in Siracusa, cambiò di avviso, e ordinò nuovamente alla deputazione che depositasse nella cassa regia il denaro dovuto agli ecclesiastici: questa consultò l’ordine, e il Sastago rispose, che nonostante le ragioni addotte ubbidisse; fecero nondimeno i deputati una seconda rappresentanza, ma in capo a pochi giorni entrarono in Sicilia le armi spagnuole, e cessò negli ecclesiastici dimoranti in Palermo il timore di perdere nuovamente lo scasciato (2255).
Partì il conte di Sastago da Palermo ai 30 di aprile, dopo che gli giunsero le certe notizie, che già la città di Napoli era in potere degli Spagnuoli. Andò prima in Messina, dove arrivò al primo del seguente maggio. Restò al comando delle armi in Palermo il generale Roma, il quale a’ 14 dello stesso mese fe partire per la stessa città tutti i soldati infermi, o condannati al castigo. Venne intanto nella capitale il castellano di Trapani, il quale temendo che non sbarcassero in quel porto gli Spagnuoli, nè avendo bastante guarnigione per difendersi, cercò che segli dassero delle altre milizie: il ridetto generale gli accordò il sussidio di quattrocento fanti, coi quali a’ 17 di maggio partì per ritornare al comando del castello di quella città (2256).
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