Accolse egli tutti con molta cortesia. Continuarono nelle sere de’ detti giorni i fuochi di gioja per la città (2267).
Aveano già le truppe dal giorno istesso del possesso cominciato ad alzare de’ rivellini, a fare una strada coperta, e ad ergere de’ terrapieni per piantarvi l’artiglieria, e battere il castello. Cercavano gli Alemanni di frastornare questi lavori, per quanto era in loro potere, facendo continuamente giocare i cannoni, le colubrine, e i mortai da bombe del castello, che faceano un perenne fuoco. Le batterie spagnuole non erano che di quattordici cannoni, e di due mortai di bronzo; non fu creduto, che ne fosse di bisogno di vantaggio per assediare una fortezza come la nostra, e dove non vi era altra truppa, che di dugento fanti, oltre gli artiglieri. Essendosi piantata l’artiglieria spagnuola al Borgo per tempestare il castello, il principe della Cattolica pretore fe vive istanze al conte di Montemar, che si levasse da quel luogo, rappresentandogli, che ne potea essere danneggiata la città. Condiscendente questo comandante, e desideroso di non recare il menomo incommodo a’ cittadini, ordinò che si levasse, e si collocasse in un sito, da cui non potesse la città ricevere molestia. Fu dunque trasportata negli orti, che stavano dirimpetto il baluardo detto di s. Giorgio. Considerò frattanto il conte di Montemar, che per la impresa del castello di Palermo gli era affatto inutile la cavalleria, e volendo egli sollecitare le sue operazioni, la fe partire per Trapani a’ 5 dello stesso mese, ed a’ 7 spinse verso la stessa città due reggimenti di fanteria, che credette superflui per lo assedio suddetto (2268).
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