L’altro dispaccio riguardava il solo territorio di Palermo, e contenea la proibizione di andare a caccia nel piccolo distretto fra il ponte di s. Erasmo, e quello detto della Miraglia, volendosi che la caccia fosse guardata per il servigio di S.M. (2279).
Dovea il conte di Montemar restituirsi in Napoli, o per rendere a S.M. conto di quello che si era fatto in Sicilia, o perchè questo sovrano ve lo avesse chiamato, per tenerselo al fianco. Dunque a’ 19 dello stesso mese s’imbarcò a questo oggetto sopra un vascello spagnuolo, dove appena montato, gli giunse una feluga da Napoli colla lieta notizia, che già il castello di Capua si era reso alle armi spagnuole. Prima di partire consegnò a bordo del vascello un pachetto di lettere al protonotaro del regno, con ordine di aprirlo, quando egli fosse distante già dieci miglia dal Molo (2280).
Erano partiti prima di questo vicerè gli ambasciadori spediti al sovrano dalla deputazione del regno, e dal senato di Palermo (2281), giacchè si erano mossi dal nostro porto fin dagli 11 del mentovato mese; e quantunque fossero dopo un lungo, e penoso viaggio arrivati in Napoli a’ 21 di esso, nonostante non aveano ancora fatta la pubblica ambasciada, quando il Montemar arrivò alla corte, il quale perciò ebbe il piacere di trovarsi presente a questa solennità. Si erano eglino presentati, tostochè arrivarono in Napoli, al conte di Santo Stefano primo ministro, e al marchese di Monte Allegro segretario di stato, ed aveano privatamente baciata la mano al re.
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