È inutile che noi rammentiamo gli aggravî, che si sono già riferiti, che la Sicilia soffrì per lo spazio di quattordici anni, dietro una guerra di due anni fra’ Tedeschi, Savojardi; e Spagnuoli, che l’avea abbastanza tribolata, senza mentovare la vendita della giustizia, e delle cariche alle persone per lo più immeritevoli, che le pagavano ad un maggiore prezzo. Il nome del conte Quiros, e la di lui ingordigia sono ancora in esecrazione per tutto il regno. Il buon imperadore era troppo lontano per sentire i lamenti della nazione, che o erano affogati, o non arrivavano al trono di questo augusto (2299). Qual non dovea dunque essere il piacere de’ Siciliani nel vedersi già sotto un principe proprio, che scopriva co’ suoi proprî occhi le oppressioni che si facevano a’ sudditi, che ascoltava i loro ricorsi, che li consolava, e se talvolta non potea soddisfarli, li licenziava con così buona grazia, che ne partivano contenti?
Nello stesso giorno, in cui privatamente entrò in città il re Carlo III, emanò un ordine, che fossero levate tutte le lapidi, ch’erano sparse in diversi luoghi di essa, nelle quali vi fosse il nome di Carlo VI. Era questo un nome per sè stesso rispettabile, ma così portava la etichetta della corte, e così avea ordinato il duca di Monteleone rispetto a quelle, nelle quali era nominato Filippo V, quando questo vicerè venne l’anno 1720 a governare il regno per parte dello imperadore suddetto, facendo perfino atterrarne la statua, che stava eretta dirimpetto alla porta della Doganella.
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