La salutò con rispetto levandosi il cappello, e allora il principe di Butera gridò per la prima volta: Sicilia, Sicilia per il re Carlo, infante di Spagna, e gli fu risposto: Viva, viva l’infante Carlo di Spagna. Questa acclamazione fu più fiate replicata in varî siti del Cassero, e per l’ultima volta, quando il re entrò nel regio palagio (2306).
Pervenuto il re alla cattedrale, smontò da cavallo, e fu ricevuto alla porta dallo arcivescovo, che si era rivestito degli abiti sacri, ed intonò subito il Te Deum. Mentre cantavasi questo inno, la maestà sua col corteggio de’ nobili, e accompagnato dalle reali guardie del corpo, entrò nel coro, e salendo sul soglio, stiede in ginocchio, sino che furono terminate le solite preci, dopo di che si alzò, si sedette, e pose il cappello sul capo, coprendosi ancora tutti coloro ch’erano grandi di Spagna. Intanto il gentiluomo di camera di settimana fe portare innanzi al re un tavolino, coperto di un tappeto, sul quale il grande elemosiniere collocò il libro de’ santi Evangelî, e un Crocifisso. Lettasi di poi dal protonotaro del regno la forma del giuramento da farsi per il ligio omaggio, salì i gradini del soglio prima di ogni altro lo arcivescovo, che avea di nuovo deposte le vesti pontificali, come capo del braccio ecclesiastico, e interrogato dal protonotaro suddetto, se giurava, giusta la formola allora lettasi, [550] rispose: così giuro, e baciò il libro de’ vangeli, e i piedi dei Crocifisso. Così fecero tutti gli altri vescovi, ed abati parlamentarî; e fu osservato, che il re non cavò il cappello, che al solo arcivescovo.
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