Si accostarono di poi a fare lo stesso giuramento il principe di Butera capo del braccio militare col seguito de’ baroni, e del pari il principe della Cattolica pretore, come capo del braccio demaniale, cui similmente il monarca levò il cappello, e i procuratori delle città demaniali. Finalmente i deputati del regno giurarono per gli assenti de’ tre ordini dello stato, ecclesiastico, militare, e demaniale. Datosi il suddetto giuramento, il gran limosiniere levò il messale, e lo pose sul coscino dello inginocchiatojo presso il soglio, e fu veduto, che vi collocò un altro Crocifisso. Volle allora il re, che il principe di Valdina leggesse l’altra formola, colla quale sogliono i sovrani giurare di conservare le leggi, le consuetudini, ed i privilegi del regno, il quale dopo di avere ubbidito, s’inginocchiò, e dimandò a S.M. se volea benignarsi di far quel giuramento. Il re rizzatosi, e levato il cappello, pose la destra ignuda sul vangelo, e disse: così lo giuro, e tosto baciò il Crocifisso. Salì in appresso il pretore, e presentogli il libro, in cui erano registrati i privilegi della città, supplicandolo, che si compiacesse di giurarne la osservanza, e di permettere che se ne stendesse l’atto dal protonotaro. Il re stando a sedere, e mettendo la mano vestita dal guanto su quel libro, giurò quanto segli chiedea (2307).
Terminata questa funzione alla cattedrale, scese Carlo dal soglio, e dopo di avere venerate le sacre ossa di s. Rosalia, protettrice della città, sortì da quel tempio, e rimontato a cavallo collo stesso accompagnamento andò al regio palagio, dove fattasi l’ultima acclamazione, che abbiamo accennata, scavalcando salì le scale, ed entrò nella camera di parato, dove essendosi assiso sul soglio, il principe di Butera gli restituì lo stendardo reale, e il re presolo, lo riconsegnò nelle mani del detto principe, dandoglielo in dono, come è costume.
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