Dovea il re partire a’ 7 del detto mese, ma i venti contrarî ne lo impedirono; laonde fu differita la partita al seguente giorno, come seguì sulle ore 22, e mezza. Si erano le milizie urbane squadronate nel Cassero nello stesso modo, come si erano collocate il dì della pubblica entrata. Al tocco delle ore 22 sortì S.M. dal regio palagio, servito da una carrozza a sei cavalli del pretore, principe della Cattolica, giacchè i cocchî, ed i cavalli del re si erano imbarcati. Non avea seco, che il suo maggiordomo maggiore, il conte di Santo Stefano. Andò direttamente alla Garita, dove lo aspettavano lo arcivescovo, il senato, la nobiltà, e il ministero per augurargli un prospero viaggio. Salito sul ponte ivi preparato, e salutando tutti cortesemente, montò sulla sua gondola, e si accostò al vascello, che dovea trasportarlo, e ascese sul suo bordo fra lo strepito de’ cannoni del castello, e de’ baluardi della città. Essendo il vento favorevole, furono alzate le vele, e fu presa la via di Napoli.
      Era la sua flottiglia composta di due vascelli di linea, e di nove galee, cinque delle quali erano di Spagna, e quattro di Napoli, oltre alcune altre barche, che servivano per il bagaglio, e lo equipaggio. Fu questo per i Palermitani un giorno di lutto, compiangendo questi cittadini la perdita di un così adorabile principe, che avea dimorato intorno a cinquanta giorni fra le mura della loro patria, che si era fatto amare per la sua dolcezza, e avea addimostrato una certa predilezione per essi, colmandoli d’infiniti benefizî (2313), e dolendosi che fosse spenta ogni [553] lusinga di averlo per sempre, e che dovessero ritornare allo stato infelice di provincia.