Queste non erano di poco momento, giacchè per l’abazìa, che vi è annessa, sono considerate come il più pingue benefizio della Sicilia, facendosi montare a più di ottanta mila scudi siciliani (2334). Perciò non potea essere questo porporato indifferente a cotale confiscazione, che lo toccava sul vivo, togliendogli il modo di potersi mantenere con splendore, e magnificenza. Soffrì per qualche tempo questo fatale colpo, lusingandosi, che fatta la pace, il re Carlo gliene avrebbe restituita la libera amministrazione, nè lasciò di farne delle pratiche alla corte di Napoli. Come poi si accorse che ogni opera era perduta, ebbe modo di fare affiggere a Morreale il mentovato cedolone. Dichiaravansi in esso scomunicati il marchese di Monteallegro, segretario di stato di Sua Maestà, Girolamo Pilo, governatore di Morreale, e Giovan Battista Salamone, eletto amministratore della mensa arcivescovale. Ne fu dato subito avviso al principe Corsini, il quale, prima di operare, volle ascoltare il parere dei presidenti, e del consultore, che sono negli affari scabrosi coloro che consigliano i governanti. Questi, sebbene abbiano riconosciuta ingiusta questa censura, pur non di meno opinarono che si dovesse sospendere ogni passo, mentre stavansi accomodando in Roma le vertenze fra quella corte, e la nostra di Napoli, per non accendersi un maggiore fuoco, e che si dovesse solamente avvisare di questa novità con un corriere straordinario il sovrano, ed aspettare il di lui supremo oracolo (2335). Ci è ignoto come sia terminata questa briga, non additandolo i monumenti, che abbiamo avuti alla mano; ma verisimilmente la morte del cardinal Cienfuegos, che non molto dopo seguì, avrà dato termine alle di lui pretenzioni.
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