Mentre eglino stavano radunati, arrivò loro un graziosissimo dispaccio, dato a’ 15 dello [559] stesso mese, col quale il vicerè comunicava a’ capi del parlamento la grazia già accordata da S.M., e partecipatagli dalla segretaria di giustizia e grazia sotto i quattro dello stesso mese, per cui il re si compiaceva di stabilire, che in avvenire tutte le prelazìe, i canonicati, le dignità, e gli altri benefizî ecclesiastici di regio padronato si dovessero conferire a Siciliani nati nel regno, salvo lo arcivescovado di Palermo, ch’egli, e i suoi successori avrebbono conferito a chi più loro piacesse, e per la prima volta solamente lo arcivescovado di Morreale, che si riserbava di dare a soggetto straniero (2338). Questo favore si era più volte dimandato ne’ parlamenti a’ serenissimi re, come si è da noi spesso additato, ma non si avea potuto ottenere che la sola alternativa, per cui una volta erano conferiti i benefizî a’ Siciliani, e un’altra a’ forastieri, e questa istessa non fu mai esattamente osservata.
      Fu ammirato lo animo grande del sovrano, il quale non aspettando che se gli facesse dai Siciliani la istanza, di sua spontanea volontà era divenuto ad accordare a’ medesimi ciò, che sapea ch’eglino ardentemente desideravano. E però fu ricevuta dai parlamentarî con trasporti di gioia la notizia del concesso privilegio. Quindi sospendendo lo esame dei donativi richiesti, si applicò quella nobile adunanza prima di ogni altra cosa ad addimostrare al clementissimo monarca la sua riconoscenza, e con unanime consentimento stabilì di offerire al medesimo per questa sua reale condiscendenza un donativo particolare di cento mila scudi, come un attestato di suo gradimento.