Visitato il bastimento dagli officiali della sanità, fu osservato che mancava un uomo dello equipaggio, e interrogato il padrone rispose, che costui era morto dai disagi sofferti nel viaggio. Fu nondimeno ordinato, che soggiacessero le persone, ch’erano a bordo della barca, alla contumacia di ventiquattro giorni, e le mercatanzie a quella di trentacinque, come si costuma in cotali occorrenze. Prima che spirasse il prescritto termine di 24 giorni, morì coi bubboni il capitano genovese, ed indi a poco il marinaro, che portò il di lui cadavere in terra per sepellirsi. Queste due morti seguite, l’una dietro l’altra, atterrirono il resto dei marinari, i quali si ritirarono nel più rimoto angolo della nave, non volendo approssimarsi alla camera del padrone, dove immaginavano, che fosse annidata la pestilenza. Restando intanto insepolto il cadavere del marinaro, nè avendo avuto alcuno dei di lui compagni il coraggio di portarlo alla sepoltura, fu preso lo espediente dai ministri incaricati della sanità, di farli ritirare in una casa di legname, che fecero [567] tosto allestire, dove furono guardati con estremo rigore, e di ordinare, che s’incendiasse subito la nave una con tutte le merci, che avea trasportate, e così fu fatto. Tutte queste provvidenze furono ottime, ma fu trascurata la più necessaria, sebbene fosse stata suggerita, ed ordinata dal supremo tribunale della sanità, ch’era in Palermo, cioè quella di esaminare diligentemente se durante la contumacia i cittadini avessero avuto alcun commercio coi marinari della barca, e se si fosse trasportata in città alcuna porzione di merci.
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Palermo
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