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      Forse se si fosse fatto questo rigoroso esame, si sarebbe scanzato, che il flagello della pestilenza si diffondesse. La sorte dei marinari, ch’erano rimasti, fu tale che dopo di avere dimorato altri quaranta giorni, si trovarono sanissimi. Ne restarono lieti i cittadini, lusingandosi che si fosse così allontanato ogni sospetto d’infezione. Perciò ne furono rese grazie a Dio, e fu a questo fine cantato il Te Deum nella cattedrale.
      Ma mentre si faceano dei ringraziamenti, perchè lo equipaggio era restato libero dal contagio, questo male era già entrato in città. Durante la prima contumacia si era introdotta di soppiatto dentro le mura di essa una porzione di merci, e la peste si era comunicata a molti degli abitanti. Cominciò a scoprirsi questa nel quartiere dei Pizzillari, nel quale vedevansi molti morire con febbre, e bubboni. Sul principio il numero dei morti non fu molto considerabile, giacchè dallo arrivo della barca fino ai 22 di maggio, cioè nello spazio di circa a tre mesi, non se ne contarono che soli settantadue; ma nei seguenti giorni crebbe a dismisura la mortalità, e giunse la morte a sagrificarne fino a cinquecento. In vista di questo macello fu preso consiglio dai medici. La maggior parte di essi fu di avviso che il morbo non fosse pestilenziale, ma una epidemia, comunque letale, da cui erano rimaste attaccate in quell’anno molte città d’Italia, Genova, Alessandria della Paglia, Tropea, e Napoli, e dalla quale nell’anno 1741 erano state del pari molestate in Sicilia Pietraperzia, Bronte, e Caltanissetta.


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Storia cronologica dei vicerè luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia
di Giovanni Evangelista Di Biasi
Stamp. Oretea
1842 pagine 1481

   



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