Ma costoro, vedendo prendere di giorno in giorno nuova forza al male, mutarono linguaggio, e protestarono ch’era peste sicurissimamente. Fu allora ricorso ai santi, e con una sconsigliata risoluzione, in vece di pregare i medesimi dentro i recinti delle proprie case, acciò si mediassero presso lo sdegnato Dio, fu progettato di farsi delle solenni processioni, e di celebrarsi con gran pompa la festa della Santa Lettera. I malaccorti magistrati, nonostante la opposizione, che vi facea qualche medico, accordarono queste pubbliche dimostrazioni. Allora il contagio, che stava confinato in un quartiere, si dilatò per tutta la città, dai tre giugno in poi, nè vi fu più rimedio di salvarla. Contasi che dai cinque fino ai ventinove di questo mese, fossero morti intorno a quindici mila persone. La relazione del medico Orazio Turriani, incaricato dalla deputazione di salute di Palermo, rapporta, che durante questo flagello morirono in città 28841, e nei casali 13824, che in tutto compiono il numero di 42665, non compresi coloro, che si erano ritirati nelle campagne presso Messina, dei quali nel mese di settembre non sapeasi ancora se fossero stati attaccati da questo implacabile nemico della umanità, e quanti ne fossero stati la vittima.
Alle prime notizie del contagio di Messina il principe di Corsini, non fidandosi alle relazioni dei medici di quella città, spedì da Palermo due periti in quest’arte, e per mezzo del supremo magistrato della sanità ordinò, che vi andasse un medico da Catania, ai quali furono date le dovute istruzioni.
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