Continuarono perciò a tener serrate le porte, e [569] persisterono a custodirle sino al mese di maggio dell’anno seguente 1744, in cui si aprì, cessato ogni sospetto, il commercio, si disserrarono le porte, si tolsero le guardie, e si cantò in diverse chiese del regno pubblicamente il Te Deum, in rendimento di grazie all’Altissimo. Noi nel riferire questa sciagura accaduta alla Sicilia, non abbiamo finora accennato verun monumento, che corroborasse il nostro racconto. Ma è da sapersi, che noi lo abbiamo tratto dalla relazione istorica della peste, che attaccossi in Messina nell’anno mille settecento quarantatrè, scritta per ordine della deputazione della sanità, dallo allora canonico Francesco Testa, la quale fu stampata in Palermo da Angelo Felicella l’anno 1745, nella quale sono anche rapportati tutti gli ordini emanati dal governo per dar riparo a’ danni che recava la peste, e per tenerla ristretta ne’ confini di Messina, e de’ suoi casali. Non dobbiamo omettere in questo luogo le commendazioni, che fa de’ regolamenti tenuti in Sicilia per impedire il corso al contagio, il dotto annalista d’Italia Ludovico Antonio Muratori (2374), che sono così gloriose al vicerè principe Corsini, ed a’ Siciliani tutti, che concorsero co’ loro consigli a ripulsarlo. Questo scrittore osserva, che se tali provvidenze si fossero date ne’ secoli antecedenti, quando la peste attaccò le contrade d’Italia, quali furono date nella luttuosa occasione, in cui si trovò ora la Sicilia, non avrebbe la medesima in quei tempi fatta tanta strage, quanta allora ne fece; e riflette, che se in avvenire si daranno, e si useranno le stesse diligenze, non vi sarà più pericolo, che questo male, che suole avere il suo nido ne’ paesi del Turco, pervenga, e si dilati nelle nostre contrade.