Questo viceregnante, che dallo stato militare, in cui si era fatto tanto onore, era passato al governo politico, sebbene avesse il cuore retto, e nudrisse ottimi sentimenti, nondimeno sulle prime la sbagliò, immaginando che potessero i regni governarsi alla usanza dei soldati. I suoi primi passi furono indiritti a volere che la giustizia fosse sollecitamente amministrata; e poichè credea che i ministri, o per contemplazione, o per trascuraggine mancassero a quella sollecitudine, ch’ei ricercava, cominciò a fare la guerra ai medesimi, e a chiedere da loro stretto conto delle provvidenze che davano, quantunque fossero legali, e giuste. Comandò inoltre ch’eglino si radunassero due volte in tutti i giorni nei loro tribunali, e che vi dimorassero tre ore la mattina, e tre dopo il desinare, per farvi giustizia. Vietò ancora con rigorosi editti il portare armi ai servidori, e restrinse il numero di coloro, a’ quali era permesso di cingere la spada. Proibì severamente i giuochi di azzardo, diè riparo alle amicizie nei monisteri delle monache, proibendo lo accesso ai parlatorî, e sopra tutto curò che fossero puntualmente pagati i debiti ai creditori. Queste provvidenze, che sarebbono state utilissime a’ vassalli, e al buon regolamento del regno, se si fossero date con modo, non ebbero lunga durata. La violenza, con cui se n’esigea la esecuzione, atterrì il ministero, ed i particolari. Continovi perciò erano i ricorsi, che arrivavano al regio soglio, nei quali le azioni rette di questo governante erano dipinte coi più neri colori.
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