Furono perciò gli ordini dello stato concordi, così nell’offerire gli ordinarî donativi, come nel ringraziare la generosità del sovrano. Trovando poi l’animo del monarca disposto a favore della nazione, richiesero, oltre la conferma del vicerè, la grazia, che S.M. s’interessasse presso la santa sede per ottenere, che come per clemenza del re i benefizî di regio padronato, detrattone il solo arcivescovado di Palermo, si conferivano ai Siciliani, così si dassero ai medesimi quelli, ch’erano di collazione pontifizia (2395). Molte altre grazie furono richieste, che possono osservarsi negli atti di esso parlamento (2396).
[580] Finito il parlamento, si determinò il vicerè duca di Laviefuille di recarsi a Messina, dove meditava di fare delle grandi imprese, che immaginava utilissime al regno, e profittevoli agli interessi della corona. Mal soffrivano il senato di Palermo, e la deputazione del regno, che la corte viceregia si trasportasse in Messina, giacchè consideravano, che la residenza del medesimo, e dei tribunali in quella città avrebbe certamente arrecata la rovina della capitale. Perciò lo supplicarono a ritirarsi da tale pensamento. Ma questo cavaliere non era avvezzo a cedere. Come dunque videro la di lui ostinazione, ne fecero ambedue questi magistrati la loro rappresentanza alla real corte di Napoli, esponendo gl’inconvenienti, che da questa partenza sarebbono necessariamente nati, e il vicerè dalla sua parte non lasciò di fare al re le sue consulte, colle quali mostrava quanto fosse necessaria questa sua mossa al real servigio, e al benefizio della isola.
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