Egli adunque, credendo questo lo unico mezzo per animare il commercio, si applicò a trovare delle persone benestanti, e pratiche nella mercatura, le quali volessero formare questa compagnia, e per indurvele col proprio esempio, volle egli stesso entrarvi. Fu per allora accumulato un capitale di trecento cinquanta mila scudi, e fu data la libertà a tutti i nazionali, ed agli stranieri ancora di concorrere, quando volessero, ad accrescere coi loro denari questo fondo. Furono questi invitati colla lusinghiera speranza di una certa ricchezza, impiegando i loro averi in un paese così fertile, e ch’era stato nei tempi andati la sede del commercio. Furono di poi stabiliti alcuni articoli per regolarsi questa compagnia, e rimessi allo esame di sei deputati di questa unione, i quali in parte li approvarono, e in parte giudicarono che dovessero essere moderati con alcune postille.
Gli articoli suddetti così regolati furono spediti dal vicerè al sovrano in Napoli, e nella maggior parte ne ottennero la reale approvazione. Dopo di ciò la compagnia cercò al re alcuni privilegi, e grazie, che credea molto confacenti agl’interessi suoi proprî, e allo accrescimento dei profitti, che sperava di trarre dallo intrapreso commercio. Queste dimande erano ventidue; ma siccome non tutte tendevano al pubblico bene, e allo augumento della negoziazione, e parecchie di esse non aveano altra mira, che quella di arricchire la compagnia, e la città di Messina a costo delle altre città, che restavano quindi impoverite, così il re accordando a questa società quei privilegi, che non pregiudicavano i diritti delle altre città, pei rimanenti, che si richiedevano, rispose, che volea più maturamente esaminarli, e di poi, o si negò di accordarli, o li moderò in maniera, che non fossero pregiudizievoli agli altri.
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Napoli Messina
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