Sembrava che le cateratte del cielo si fossero ostinatamente chiuse. Fu rappresentato il pericolo, in cui si era di una totale fame, a Mr. Serafino Filangeri, arcivescovo di Palermo, il quale, conoscendo [603] quanto fosse necessario il ricorrere a Dio sdegnato, con un suo editto de’ 5 di novembre, pieno di santa unzione, prescrisse a tutti i fedeli della sua diocesi, che con pubbliche preghiere, e con emendare gli sregolati costumi, allontanassero il flagello, che minacciava tutta l’isola, ed ordinò a tutti i rettori delle chiese sacramentali, secolari, e regolari, che per tre giorni esponessero alla pubblica adorazione il Sacramento dello altare, che per trenta giorni si recitassero nelle dette chiese le litanie maggiori, e che in esse una volta almeno si celebrasse una messa privata, o solenne per qualunque necessità.
      Il numero de’ poveri, che giornalmente arrivava alla capitale, cominciava ad essere grave alla società. Andavano eglino raminghi per la città, e colle loro importune dimande assordavano le orecchie degli abitanti, e interrompeano il corso de’ loro affari: oltrecchè non avendo eglino proprio domicilio, avvegnachè lo albergo destinato a’ medesimi, per quella parte, ch’era già compiuta, non era capace a ricoverarli, accadea allo spesso, che sbandati per le vie commetteano dei furti, e delle rapine, e turbavano la pubblica tranquillità. A vista di questi disordini il vigilante vicerè, chiamati a consiglio i deputati dell’ospizio de’ poveri, e cercati i mezzi per dare a’ medesimi una maniera di vivere più certa, e per occorrere a’ disordini, che accadeano, stabilì con essi, che il più pronto riparo, che potesse darsi alla sicurezza di questi famelici, e alla quiete de’ cittadini, era quello di radunarli tutti in un luogo, come altre volte si era fatto, e di somministrare loro il vitto cotidiano per sussistere colle limosine, che la pietà de’ Palermitani avrebbe porto.