Mentre nella capitale si facea ogni opra per allontanare lo epidemico male, in essa, e per tutto il regno se ne soffriva uno peggiore, che non era così facile di riparare. Era questo il mancamento de’ grani, che si credea che non potessero bastare, fino che fosse arrivato il tempo della messe, la quale per la mancanza delle acque non si sperava, che potesse cadere con abbondanza. Le città, e le terre del regno erano prive de’ mezzi per acquistarne quella quantità, che loro abbisognava, trovandosi i frumenti cresciuti ad un prezzo esorbitantissimo, giacchè coloro, che ne trasportavano qualche quantità, non voleano venderli per meno di 9 e 10 oncie la salma; in guisa che con molto denaro non si ottenea che poco frumento. Per abilitare le università a provvederne quella quantità, che loro era necessaria per non perire, il tribunale del patrimonio, interpetrando la volontà del sovrano, e previo il consenso del vicerè, si contentò che si sospendesse il pagamento delle tande, affinchè il denaro di esse si applicasse in compra di grani (2443). Dal regno di Napoli non era sperabile alcun soccorso; era ivi maggiore la carestia, che nella Sicilia, ed è fama che nella capitale, dove si consumavano da mille salme al giorno, scarseggiasse così il pane, che la stessa corte, e la primaria nobiltà avesse a somma grazia il satollarsi con quello di munizione, che dispensavasi a’ soldati (2444). La penuria, che soffrivasi in quel regno, era per un altro verso nociva a noi, per quei frumenti, che si erano comprati altrove per servigio della nostra isola; imperocchè le navi reali battevano i nostri mari, e fermavano le barche de’ frumenti destinati per la Sicilia, de’ quali s’impossessavano, e trasportavanli in Napoli.